Monet e la fabbrica museo

maria4Caro Giotto, eccomi a scriverti di ritorno da Parigi, dalle sale ovali al pian terreno del Musée de l’Orangerie che dal 1927 sono diventate lo spazio delle Ninfee realizzate da Claude Monet tra il 1920 e il 1926 espressamente per quegli spazi e donate al Governo francese per celebrare la fine della prima guerra mondiale.

Si tratta di una serie di tele che costituisce un corpus organico capace di ricreare uno spazio, quello acquatico del giardino della casa colonica di Giverny, dentro altri spazi, quelli dell’Orangerie, capaci di estendere l’esperienza e la ricerca sulle impressioni e sulla luce di Monet, un maestro che ha dedicato la propria vita alla realizzazione di opere che catturano e restituiscono sulla tela la vibrazione cromatica e il mutare dello sguardo di chi è immerso nel guardare e si confonde con la cosa stessa da vedere / rappresentare / conoscere. Claude Monet e le sue Ninfee che offrono al visitatore un’esperienza totale e totalizzante: quella nelle due sale ellittiche all’Orangerie. Perché, caro Giotto, la loro geometria curva accoglie le Ninfee e restituisce loro una vitale mobilità di cui si coglie la forza solo a starci e a muovercisi dentro.

Come di certo avrai già capito, ti scrivo al ritorno da Parigi e dalle sale ellittiche dell’Orangerie perché voglio condividere con te una riflessione su quelle particolari istituzioni culturali che sono i Musei.
Adesso non ti sorprendere, ma per parlare dei Musei parto dalle Fabbriche, perché alla fine la fabbrica – nel suo formato bottega fino a quello di industria – è un’esposizione permanente del processo produttivo che vede al centro l’Uomo e la sua abilità di ideare e realizzare artefatti, manufatti, prodotti, di cui si può essere testimoni come in una scena live di un Teatro.

Il Museo è un po’ come un archivio di Fabbriche, un catalogo organizzato dei prodotti e degli artefatti di tempi differenti, in taluni casi è anche ciò che resta delle ‘fabbriche’, dove la presenza dei visitatori prova a restituire vita a quei ‘reperti’ e a reinserirli in un altro ‘teatro’ che è il mondo di ciascuno degli spettatori.
Il Museo è insomma un’istituzione che può restituire nuovo senso agli ‘oggetti’ che conserva, se la sua esistenza e le sue attività diventano parte di una più ampia strategia e politica culturale attiva e, quindi, educativa e formativa.

Secondo me non si tratta tanto di educare all’Arte ma di insegnare attraverso l’Arte ad abitare il mondo, a metter su ‘fabbriche’, le proprie, senza muoversi soltanto da spettatori in quelle degli altri, e in questo contesto il Museo può essere considerato come archivio di fabbriche e dei loro prodotti da utilizzare e riutilizzare non solo in chiave di fruizione ma soprattutto in una logica produttiva, creativa, attraverso la quale rimettere mano alle opere per riconfigurarne il senso e il valore nel contesto attuale di chi vi si connette e ne è interessato.
Il Museo con le sue collezioni può fornire ‘materiali’ cui ritornare con lo sguardo anche dopo la visita per far diventare l’occhio come la mano che opera sulla materia di cui è fatta e ne estrae esperienza, senso, significato, immaginazione. Non nel mero senso esibizionista del selfie. Ma nel senso suggerito da Monet con le sue Ninfee e con le sue ‘impressioni’ generate dall’esperienza delle ninfee.

Affinché tu non pensi che tutto questo sia soltanto una bella idea, caro Giotto, voglio dirti quello che ci ha raccontato il mio amico Mario Amura quando, ospite a lezione in aula M del Corso di Comunicazione e Culture digitali, ci ha raccontato del possibile uso dell’applicazione Phlay per i Musei e per le grandi Istituzioni culturali come il Louvre. E ci ha detto che proprio dal Presidente del Comitato Scientifico del Louvre, Salvatore Settis, già Rettore della Normale di Pisa, è emersa la necessità di ripensare la visita al Museo e l’opportunità di integrare l’uso istituzionale di un’app come Phlay. Settis, infatti, ha indicato «due ragioni convergenti: da un lato, esso è in grado di suscitare la generale curiosità in quanto fa leva sulla crescente fortuna delle nuove tecnologie e sulla loro diffusione sempre più universale nelle dimensioni della vita quotidiana; dall’altro, non si accontenta di rilanciare passivamente i rituali della visita turistica e della sua “presa d’atto” fotografica, ma suggerisce e stimola una modalità più creativa, e al tempo stesso più impegnata sul versante conoscitivo».
Il versante conoscitivo, caro Giotto, è la suggestione con  la quale mi piace concludere questo mio racconto a proposito dei Musei, il giorno successivo all’incontro dei Direttori di 30 Musei italiani con il Ministro della Cultura, perché continuo a pensare che anche oggi e domani e dopo ancora credo sia importante continuare a ripensare la funzione dei Musei per ri-disegnare politiche culturali attive grazie alle quali ciascun cittadino può dare forma alla propria vita fatta ad Arte.