Caro Giotto, il tuo cerchio, preciso, tracciato sulla tela per mostrare la tua opera migliore, mi ritorna come gesto essenziale per definire e circoscrivere uno spazio e tenerne insieme tutte le parti. In questo senso mi risuona il «Chiamiamoci dentro» di Mauro Felicori – direttore della Reggia di Caserta – a proposito della classifica de Il Sole 24ORE sulla qualità della vita e dell’ultimo posto occupato dalla città di Caserta. Chiamiamoci dentro! Un invito forte che coglie la necessità di ricucire, mettere insieme, collegare tutto il sistema territoriale fatto di Enti, Istituzioni, Imprese, e quindi di Amministratori, Dirigenti, Manager, Imprenditori, Operatori economici e culturali, Cittadini, Decisori politici, in un più organico sistema che funzioni nel suo insieme. Un invito a restare dentro quel cerchio, caro Giotto, a sentirsi parte di un tutto per vivere la dimensione comunitaria di una realtà territoriale e contribuire alla sua possibilità/necessità di mutare. Magari anche in nome di un astratto benessere che io chiamerei bellezza e gioia di vivere.
Una ‘chiamata’ che arriva da chi dirige un importante monumento e bene culturale e che mi sembra faccia eco a Filiberto Menna e alla sua ancora attuale Profezia di una società estetica, perché nelle parole di Felicori scorgo un’idea nobile di lavoro e una consapevolezza della sfera politica nella quale ciascuno opera, per sconfinare e produrre il mondo nel quale vivere. Mauro Felicori oggi, come Filiberto Menna nel 1968, indicano nella creatività e nell’estetica diffusa quella qualità che può attraversare l’agire quotidiano di ognuno.
Una qualità etica-estetica dell’agire quotidiano che supera la singolarità, il personale, e investe la sfera pubblica, che si manifesta e si carica di un’aura politica e traccia nuove mappe di un territorio segnato da una certa intenzionalità ‘pedagogica’, di cui spesso non si è consapevoli.
Il territorio, nella sua qualità creativa, produttiva ed estetica, è da intendersi, infatti, come spazio formante che si incarna in una comunità educante e genera saperi, pratiche, realtà, artefatti, cognizioni, visioni: quella varietà che necessita di un gesto che unisce, tesse, combina e restituisce la pluralità coesistente del tutto.
Ecco che il Chiamarsi dentro di Felicori mi riporta al Legarsi alla montagna di Maria Lai – grande artista e cara, mai perduta, amica mia – quando nel 1981, a settembre, ad Ulassai, nel coinvolgere l’intera comunità nella costruzione di una rete che collegasse, attraverso un unico nastro celeste, ciascuna casa con la montagna, ha ricordato al mondo che l’arte è ‘cosa’ pubblica, è quel gesto necessario e mancante che trasforma, muta il paesaggio e ne fa ‘teatro’: quella scena che si realizza grazie alla presenza degli ‘attori’ e al loro tessere interazioni.
Filiberto Menna nel 1982 scriveva proprio a proposito di Maria Lai e dello straordinario accadimento prodotto dal suo intervento Legarsi alla montagna: «Tema celeste. Nastro celeste. La leggenda diventa realtà, vita vissuta. Come la bambina rifugiatasi nella grotta, la comunità di Ulassai si salva dal crollo della montagna ritrovando le proprie radici etniche e la propria memoria storica. Questa volta il nastro celeste non viene da chissà dove, ma è offerto da una artista che è nata qui e a questo luogo è rimasta profondamente legata, anche se ora vive lontano. Ma poi è stato l’intero paese a ricostruire una rete di relazioni legando casa a casa, porta a porta, finestra a finestra e soprattutto persona a persona superando nell’evento estetico Legarsi alla montagna rancori, inimicizie e diffidenze remotissime.»
Un intero paese è l’autore dell’opera perché ha superato l’isolamento, ha agito secondo la poetica cara a Maria Lai che si era sottratta da un incarico della Giunta Comunale che, per porre la comunità di Ulassai nella storia, chiedeva un monumento ai Caduti.
«Per essere nella Storia bisogna fare storia, non uniformandosi al già fatto, ma con un’opera nuova», scrive Maria Lai a proposito della sua scelta di negare un monumento alla sua città e proporre all’intera comunità di mettersi all’opera. Attraverso un filo che attraversa lo spazio e costruisce o ricostruisce legami, si annodano rapporti che dal visibile toccano la sfera invisibile e rarefatta, più duratura, delle umane cose. A segnalare questo tracciato più sottile c’è stato quel giorno ad Ulassai il flautista Angelo Persichelli. A documentare questa operazione, l’occhio e la fotografia di Piero Berengo Gardin. E tutta la comunità a partecipare, e poi a urlare, danzare e cantare fino a notte fonda.
Oggi, caro Giotto, tornare all’operazione di Maria Lai per la comunità di Ulassai, significa ravvivare il richiamo al ‘fare storia’, riaccendere con la sensibilità propria dei poeti e degli artisti la tensione a dare voce a un territorio e al suo genius loci. Un chiamarsi dentro che chiede di tornare a immaginare e vivere il territorio e il suo paesaggio come il nostro teatro della storia: dove ogni gesto dice della possibilità multiforme e generativa di legarsi al territorio.
QUESTO LO AVETE SCRITTO VOI:
Michele Mezza
Il cerchio di Giotto, The Circle, Facebook? Chi determina oggi i modelli sociali e i linguaggi creativi?
Michele Cignarale
Una prospettiva in cui ogni giorno mi calo da qualche anno. Le comunità temporanee, il codesign, la definizione di un sistema di prenotazione socialmente valido e validato dalla comunità stessa. La rivoluzione è viva e abbiamo tutti gli strumenti per farla diventare realtà.
Paola Giampaolo
Molto bello! Non solo uno stimolo ad essere “dentro” in modo sistemico nella nostra storia, ma quella giusta riflessione a “fare noi storia” (esserci nel fare). Mi ritorna in mente il concetto di intelligenza collettiva come superamento di ogni forma di isolamento, anche di pensiero, per spostarci con valore dall’egosistema all’ecosistema. Fare in modo, quindi, che il cerchio di Giotto non scivoli nella sola funzione estetica di una perfezione mai raggiungibile in quanto tale, ma diventi l’insieme infinito di punti (come ci insegna la geometria) che solo Uniti danno forma alle cose.
Marina Spadea
Il cerchio è senz’altro una delle figure geometriche regolari più affascinanti e complesse da insegnare ai ragazzi, ma che sicuramente esprime il concetto di socialità e di essenzialità. Sarà il caso di iniziare questa riflessione a partire dal Piccolo Principe ?
Paola Costa
“Una qualità etica-estetica dell’agire quotidiano che supera la singolarità, il personale, e investe la sfera pubblica, che si manifesta e si carica di un’aura politica e traccia nuove mappe di un territorio (…) ” In tre parole TUTELA DEL PAESAGGIO Con tutte le innumerevoli valenze che discendono dal concetto stesso di paesaggio.. Mi viene da dire!
Pasquale Iannotta
“Legarsi al Territorio”: illuminante e anche profetico per quello che stiamo facendo attualmente a Ischia. Insieme al mio socio abbiamo lanciato un progetto per adolescenti chiamato School Village, è in fase embrionale, ma sento che mi darà belle soddisfazioni. Si tratta di una community nata on line ma che ha come obiettivo la partecipazione reale dei ragazzi a eventi musicali, per il momento, e a breve ci saranno iniziative culturali e sportive. Sto mettendo insieme le idee e le persone che dovranno aiutarmi. Al momento (siamo partiti due settimane fa) ci limitiamo a farli divertire in maniera “sana” anche in contesti solitamente devianti come le discoteche, limitando gli orari ed evitando la somministrazione di alcolici, veicolando messaggi positivi e utilizzando la pubblicità nel modo più sostenibile possibile. Vorremmo proporci come educatori di questi ragazzi che sto imparando a conoscere comunicando con loro, ma anche immergendomi in quella che è la loro cultura attraverso il web.
Anna Maria Orlando
Il cerchio di Giotto è una metafora interessante, ma direi che prima di cercare di di ricomprendere in questo cerchio una comunità, dovremmo ricomprendere in questo cerchio metaforico ogni essere. Stiamo diventando un tessuto sociale fatto di persone incompiute, distaccate prima ancora che dal territorio in cui viviamo, distaccati da noi stessi. Non so se sono chiara in quello che cerco di esprimere. Il cerchio ci deve ricongiungere alla nostra essenza, e per ricongiungerci dovremmo essere in sintonia con la vita. Ma per essere in sintonia con la vita dovremmo sentire “la vita” nella sua naturalezza primordiale. La cultura che forma oggi i nuovi esseri non è tale. E’ sovrastruttura che incide sulle coscienze senza preoccuparsi di formarle. Come possiamo pensare che simili esseri, deturpati interiormente da un globalismo travisato possano avere coscienza della storia comune e del valore di un territorio?
Maria Gabriella D’Auria
Mi chiamo Maria Gabriella D’Auria e sono una studentessa del master in Economia e Management dell’Arte e dei Beni Culturali del Sole24Ore. Seguo il suo blog Artificio da poche settimane e le volevo manifestare il mio grande interesse per i suoi interventi. Provengo dalla provincia di Caserta e sono rimasta colpita dal suo intervento dal titolo Legarsi al territorio perché sento in maniera forte la problematica del mio territorio. Conosco la ricchezza e il valore della mia terra e vedo allo stesso tempo la mancanza di cura e di dialogo tra i comuni, la regione, lo Stato, tutti gli enti pubblici e privati cui lei fa cenno. Attraverso lo studio che sto portando avanti voglio “chiamarmi dentro” e fare qualcosa per la mia terra che amo profondamente, farla emergere attraverso l’arte e la storia così ricca e così bisognosa di essere raccontata e mostrata. Sentendomi in sintonia con il suo pensiero ho voluto scriverle, spero di non essere risultata troppo invadente.