Caro Giotto,
voglio continuare nel viaggio iniziato andando per luoghi fuori dagli itinerari del gran Tour. Voglio spaziare e arrivare in luoghi dove forte è la tentazione di varcare la soglia e vederne mutare l’uso, la funzione, il senso ed estendere l’utilità. E così, da Napoli Est ci spostiamo a Napoli Nord Est e arriviamo a Caivano dove città e campagna sono come un cerchio, irregolare, l’uno dentro l’altro: a segnare spazi comunicanti e confini non ben definiti tra l’uno e l’altro e, di mezzo, a fare da zona ‘viva’ e brulla, alcuni giardini che a volte sanno più di campagna e altre somigliano all’ordine del costruito.
Ti ci voglio portare, Giotto, per osservare un altro paesaggio cittadino, e godere, come nei tuoi dipinti, anche degli spazi pieni, degli edifici, delle architetture che invitano a varcarne la soglia, così che da ‘provincia’ si facciano città, spazio pubblico, luogo di un altro accadere generato dall’apertura e dallo sconfinamento tra teatro privato e teatro pubblico.
E ti ci porto perché raccolgo l’invito e lo estendo a te dall’amico e fortunato artista Domenico Mennillo che a Caivano ha lavorato a diverse ipotesi di progetto e di intervento, coinvolgendo dal 2002 al 2006 la proprietà di Palazzo Lanna, quella di Palazzo Pepe e altri siti, edifici, giardini e corti del territorio caivanese. Ne abbiamo discusso insieme in un incontro dell’ultimo ciclo seminariale ‘Cinema Architettura Identità’ organizzato dal CRIE – Centro per le Istituzioni Europee – a proposito di architettura e democrazia, proiettando il film Theatrum, theoria che Mennillo ha realizzato nel 2006 riscrivendo partiture video in cinema-pensiero alla Gilles Deleuze. Ed ecco che mi sono tornati in mente quei luoghi nel ritrovarmi a leggere il testo con cui lo stesso Domenico Mennillo ne parla insieme al suo progetto, al suo ‘teatro’, alla sua azione lunga 5 edizioni di Alcune Architetture di Caivano 2002-2006. Domenico Mennillo ne parla come de “lo spazio privilegiato su cui lunGrabbe ha elaborato negli anni i suoi lavori tra teatro e architettura, uno spazio pensato e vissuto non come vetrina di spettacoli o un festival-rassegna d’attrazioni, ma come una concreta ‘apertura’ su proposte di vivibilità estetica altre, legate alle architetture di una cittadina a nord est di Napoli”.
E così, proprio come “proposte di vivibilità estetica altre”, te ne voglio parlare e te ne voglio far godere, Giotto, rivisitando siti attraversati da un’altra luce che li fa diventare come spazi metafisici necessari a immaginarsi dell’altro e abituando l’occhio a farsi catturare dalla forma, e non dal significato, perché la forma resta e il significato può essere mutato.
Ti invito a venire con me Giotto, a Caivano, perché c’è bisogno della forza dei tuoi colori, delle tue geometrie, di quei volumi e della loro profondità, per parlare di un teatro possibile: perché lo spazio sa che può piegarsi e lasciar riflettere nel paesaggio urbano o rurale frammenti di un paesaggio interiore, e delle suo sonore cavità, cui è difficile accedere se non per gioco di riflessi e mimesi.
Dentro Alcune architetture di Caivano, grazie a Domenico Mennillo, il viaggio a Caivano diventa consono all’epica che sembra necessaria, arte allo stato puro, eroica, per farsi spazio usando un’andatura anomala che genera un ritmo che riaffiora come qualcosa di ancestrale e risveglia, tempo di un fuoco e del suo ardere, la voglia di restare attorno al fuoco, di ascoltare il racconto in forma di poema o di concerto e trovarsi estranei nei propri luoghi domestici, prima fin troppo familiari.
L’andata a Caivano, dentro alcune architetture, sembra un ritorno e al tempo stesso un’esplorazione. Con questo gusto ci torno e ne ripercorro con te alcune partiture visive, frammenti di un racconto per immagini di certe architetture e di certe geografie, per allenare lo sguardo a stare congiunto con l’azione, a unirsi al gesto che ti fa possedere e abitare l’immagine, perché legare il proprio vissuto anche ad un solo frammento può significare conoscere o scoprire un territorio, lasciarsi sedurre dal teatro che vuole prendere corpo dentro quegli spazi e farne scena carica di un’aura da opera d’arte, unica e irripetibile, che lascia scoprire la praticabilità di una tessitura che intreccia spazi pieni e vuoti per il piacere della variazione. Piacere che qualcuno chiama pianificazione, altri politica, altri ancora governo.
Sullo sfondo di questo ritorno, appaiono frammenti della periferia milanese – altri volumi, altre architetture e ampie spaziature – tra le sonorità dei La Crus in ‘Crocevia’ (2001) e del film onirico di Dimitris Statiris (nell’allegato cd rom) che sembra fare eco ad Alessandro Cremonesi che così inizia il racconto “Possiamo fermarci a riposare, leggere, accarezzarci, ricordare, illuderci, sognare o fare qualsiasi altra cosa – anche morire – in un albergo a ore. Perché a differenza della lumaca portiamo la nostra casa dentro di noi”.
Note alle immagini
1-2-3: sequenza di Domenico Mennillo in “Baudelaire”, prima serra da “PASSAGEN_WERK. Da Walter Benjamin alle serre per coltivazione della provincia napoletana”, un’installazione-performance di Domenico Mennillo/lunGrabbe. Caivano, giardino di Palazzo Pepe, 5 luglio 2003. photo by Gianfranco Irlanda.