Caro Giotto
è da un anno, appena un anno, che qui ti ho eletto mio interlocutore privilegiato e che, come per tutte le affinità elettive, mi lascio guidare dalla immensità della tua maestrìa per aprire qui brevi spazi di indagine sulla contemporaneità. Spazi che sono anche luoghi, tanti luoghi ai quali faccio ritorno o che attraverso ed esploro per la prima volta tenendoti al mio fianco per coglierne tracce d’avvenire.
Sono partita un anno fa dalla tua Cappella degli Scrovegni e oggi – dopo così tanti transiti che sono diventati focus su questo o quello spazio, artefatto, impresa – mi ritrovo a Palermo, tra i segni strabordanti e barocchi di una città dalla irresistibile bellezza che ha conosciuto fenici, arabi, greci, latini, normanni e quindi anche la cultura bizantina la cui eco ti è nota per grazia del tuo maestro Cimabue. Una città che da sempre esibisce uno spirito metropolitano e una grande capacità metabolica di mescolare culture e colture del luogo a quelle di luoghi e civiltà più lontane. Dalla preistoria e fino al Medioevo ce n’è traccia significativa al Museo Archeologico ‘Antonio Salinas’ che da questa metà di novembre 2018 e fino a febbraio 2019 ospita anche le opere di Venia Dimitrakopoulou, artista greca dei nostri giorni che propone in contrappunto la leggerezza della carta alla gravità della pietra lavica e del marmo.
Volti e segni in dialogo con le memorie e le testimonianze del Museo Archeologico, nato nel 1814 come Museo dell’Università e poi divenuto Museo Nazionale nel 1860, il cui centro è l’agorà, la piazza, dove le monumentali metope dei templi di Selinunte e le gronde leonine del tempio di Himera (colonia greca, poi Termini Imerese) dominano uno spazio restituito al visitatore e dove il passo orizzontale muove e accompagna lo sguardo verticale che poi s’adagia nei volti senza tempo delle maschere scultoree della Dimitrakopoulou. Uno spazio attraversato dal vento. Tra tanta marmorea monumentalità ti accorgi, infatti, che l’agorà è spazio aperto, in dialogo con quanto arriva da fuori, e lo scopri solo al muoversi danzante delle carte cinesi che l’occhio prova a fermare per decifrarne i segni e le scritture impresse dalla Dimitrakopoulou.
In quello spazio, nell’apparente chiuso dell’architettura museale, si apre la rinnovata opportunità di conoscere e riconoscere l’importanza dell’agorà, dello spazio aperto, per quel dialogo e quel movimento che come vento muove e muta la forma delle cose leggere e leviga e scolpisce e trasforma quelle più resistenti e gravi. Una piazza nel cuore del Museo Archeologico ‘Salinas’ di Palermo e poi il suo portico e il chiostro al centro diventano i luoghi dove non sai più separare né distinguere pubblico e privato, architettura/progetto e natura viva. Lo spazio chiuso dove il vento arriva e distoglie lo sguardo dal chiuso e dalla prossimità per aprirlo all’altrove e al più remoto che ti si appresta; quello spazio è dove può nascere e alimentarsi il pensiero. Dove i pensieri stessi, come il vento, si muovono e si legano ad altri orizzonti possibili. Lo spazio della conoscenza e della ricerca necessaria alla costruzione della conoscenza. Uno spazio, l’agorà, che insieme alle opere di altri tempi accoglie anche quelle di un’artista contemporanea per attualizzare la funzione propria dell’agorà: perché l’agorà è quella invenzione urbanistica che incorpora la funzione di ambienteFormante costituito attorno all’idea dell’incontro che lo attraversa e lo rende generativo come il teatro e ne fa scuola-bottega-impresa sociale. In questo caso, la sua costruzione segue quella delle architetture e dei manufatti conservati e allestiti per essere in bella mostra al Museo Archeologico di Palermo che è cantiere è archivio è laboratorio.
Il Museo che è agorà al vento e che parla con fogge metropolitane a quanti ora, studenti, studiosi, ricercatori, appassionati e appassionate, aprono i loro orizzonti e sperimentano altri modi del conoscere. E sono come gli studenti dell’Istituto Tecnico Industriale ‘Augusto Righi’ di Napoli, incontrati pochi giorni fa in occasione del ‘sabato delle idee’ e che progettano insieme con i loro insegnanti una sonda per Zero Robotics (la competizione internazionale di programmazione di robotica aerospaziale ideata dal MIT, il Massachusetts Institute of Technology, in collaborazione con la NASA). A Palermo, caro Giotto, torna evidente che progettare e costruire sono processi complessi in cui il lavoro di équipe è fondamentale, perché il conoscere è unito alla capacità espressa dall’agorà, cioè da quella antica invenzione che rende possibile e auspica l’accogliere, il raccogliere, il far incontrare. In questo senso, Palermo diventa luogo elettivo, insieme a te Giotto, e coglie come buona occasione quella della mostra di Venia Dimitrakopoulou per farsi spazio nell’immaginario collettivo di Capitale della cultura e raccogliere la forza del vento per mescolare dati e tracciare nuove traiettorie possibili per un presente mobile che sa già di più splendido avvenire e di un più glorioso futuro se, è notizia proprio di queste ore pubblicata sulla rivista Astronomy and Astrophysics, l’Istituto dei Sistemi complessi del CNR, il Centro studi e ricerche ‘Enrico Fermi’ e l’Instituto de Astrofisica de Canarias (Tenerife, Spagna), annunciano, nel loro studio sulla cinematica della via lattea realizzato analizzando i dati del satellite Gaia, che le stelle della nostra galassia ruotano non solo secondo moti circolari ma anche verticali. Forse allora il vento e il suo movimento irregolare, nell’agorà del Museo Archeologico di Palermo, ci fanno sentire parte di qualcosa di più grande e di un’impresa, quella della conoscenza, che non ha ‘centri’ ma moti da generare e governare.