Caro Giotto,
l’occasione per scriverti arriva da un grosso tronco d’albero, monumentale: quello che Jimmie Duhram ha utilizzato per realizzare una sua opera che chiama tavolo perché, come lui stesso ha detto, funga da appoggio persino per tre tazzine da caffè. Guardare quel tronco in posizione orizzontale sorretto da una struttura in ferro che si innesta come un nuovo sistema di radici mi ha ricordato della lunga vita degli alberi, della loro sacra verticalità a unire terra e cielo e, allo stesso tempo, mi ha rivelato dell’albero la caducità che segue ad una pur lunga vita. Anche gli alberi terminano la loro vita e crollano interrompendo la loro naturale verticalità – quella primitiva geometria attraverso cui abbiamo guardato verso l’alto e dato un ritmo al passo capace di produrre un nuovo ordine e fare spazio al sacro – per inaugurare un altro ciclo per quello stesso fusto e per la materia di cui è fatto. Materia, il legno, che continua a vivere e a richiedere cure e nutrimento specifico così che anche quel tronco-tavolo ricorda di essere materia viva, opera di una cultura del design che parte proprio dall’osservazione del materiale, si lascia guidare nella forma da quello che la natura ha iniziato e che la mano dell’artista può continuare grazie alla sapienza artigiana e alla sensibilità poetica. La bellezza di questo oggetto è che conserva tutta l’energia e la forza che lo ha tenuto in piedi, svettante, a vincere la gravità, anche ora che ha accolto l’arte di levigare e forgiare e che sperimenta la direzione orizzontale e trova casa negli spazi da poco inaugurati di Labinac a Napoli.
Spazi, Giotto, che fanno da esposizione del lavoro di bottega che unisce la poetica artistica di Jimmie Durham e Maria Thereza Alves, insieme a quella di altri artisti-designer, con la sapienza della antica Fonderia Nolana Del Giudice e non solo. Ti scrivo di Labinac, Giotto, perché in quegli spazi si respira aria di #MateriaViva*: si avverte cioè la necessità di chiedersi dove siano fatte le cose, e come, e non solo da chi e per quale ragione. Così, insieme alle firme degli autori, sai che il valore delle cose è legato a tutte le maestranze coinvolte nel processo produttivo, nella scelta dei materiali e delle tecniche di lavorazione. L’antica Fonderia Nolana Del Giudice, l’Istituto Caselli-Real Fabbrica di Capodimonte, Berengo Studio di Murano sono parte della geografia produttiva di Labinac, e non solo, perché ridiventano patrimonio condiviso e quindi partner e risorsa produttiva territoriale. Labinac fa concretamente spazio ad una poetica del fabbricare che incontra l’arte per svelare la sua sottesa maestrìa artigiana. Per questo sento che le opere qui risuonano con la tua bottega, Giotto, e lo spazio Labinac si presenta al mio sguardo come un progetto tutto contemporaneo per dare valore al processo creativo e produttivo grazie al quale le cose si realizzano, prendono vita, e cercano strade di inesauribile durata. Ritrovo, cioè Giotto, negli spazi di Labinac una diversa cultura dell’opera e della sua ‘esposizione’ perché è del processo, delle tecniche, dei materiali, del lavoro che ha reso possibile la realizzazione di quelle opere, che si vuole far conoscere la ricchezza. Trovo di grande interesse questa ‘operazione’ per il suo valore culturale. Ne intuisco la profondità. La visione. E sono curiosa. Per questo, Giotto, ti scrivo. Perché mi sembra così prossima a te, questa ‘impresa’, così vicina allo spirito di un collettivo che celebra l’arte del fabbricare (ad arte) attraverso la funzione e l’uso delle opere perchè sia in continuità con lo stesso processo produttivo, così che ciascuno possa contribuire a continuare il processo vitale inserendolo nel proprio mondo-di-vita, nel proprio paesaggio, di cui le opere sono forma e nutrimento.
Ecco che allora condivido con te i miei pensieri e le mie brevi note, generate da una conversazione con Maria Thereza Alves, divenuta poi anche incontro pubblico e primo appuntamento dello spazio Labinac a Napoli, lo scorso 30 aprile 2022.
L’incontro ci ha dato occasione di riflettere insieme sull’importanza degli ambienti che viviamo, su ciò che forma il paesaggio, insieme a ciò che si muove da dentro – dall’interiorità. Ci siamo chieste cosa ci nutre, cosa contribuisce a formare il nostro essere e i nostri pensieri …
Ed ecco che negli spazi di Labinac, mossi dal poeta Andrea Zanzotto, facciamo una passeggiata: come un invito a metterci in movimento, in azione, per vincere l’immobilità, per unire l’idea della forma alla sua trasformazione, infinita creazione. È per parlare della vita, proprio come infinita creazione, come opera che viene da un gesto che appartiene alla poiesis, al poetare, al mutare la realtà, farne materia da plasmare.
“In me e nella mia categoria
che ha perduto contatto persino con la fabbrica del latte
e del formaggio, che in ogni Arcadia gode prestigio
e offre sodo vantaggio a chi combatte
dì per dì con gli squartamenti e inglobamenti
cui si dà il futuro che è tutto camminamenti
di budella pancreas fegati ventri
(così) in me è totalmente mancato
il rapporto cervello-mano quello che ha fatto l’umano
dentro la sua bottega di selvaggio o di artigiano
– né v’è stato il supporto grazioso e medicante
di un’Arcadia-Mafia a sostituirlo
con cerececè di dive regole
che vanno da quelle del bennato convivere
alle più eccelse scale di annodatissime corde
della follia/etichetta
– comunque, pettegolezzi e trepestii tanti di piante
da selva dei suicidi o
delle arpie o della battaglia massaia beccaia
Pace dunque al qualunque baco parassita
che si credette fabbro di seta garantita
e sta a ciondolare sulla rama
mangiucchiando
(con cento occhi ad altrui becchi)
e insieme postulando mezze-pietà
per le sue penumbrali colpe il suo desindacalizzato totale assenteismo dalla realtà”
(produzione di massa e
prodotto garantito, per altro, anch’essa
con marchio di qualità)
(Andrea Zanzotto, 1975-1978, Questioni di etichetta o anche cavalleresche – Galateo in bosco, Torino, Einaudi)
..fabbrica, futuro come camminamenti, bottega e artigiano, cervello-mano, baco fabbro di seta e soprattutto un totale assenteismo dalla realtà… risuonano per condividere (LA GIOIA) di VIVERE LO SPAZIO COME MATERIA VIVA. Come fossimo parte de La joie de vivre di Pablo Picasso (la sua tela del 1945-1948) e ci muovessimo tra quelle figure danzanti e sonanti nell’ATTO DEL CREARE INSIEME. In questo spazio ci diamo occasione di prenderci il tempo di ripensare al VIVERE. Lo facciamo in un luogo che nasce dalla cultura progettuale e materiale dell’arte e del design e dalla sua necessità/capacità di produrre cose che ricompongono paesaggi, mutano materia, …. Qui, dove risuona anche la mia ricerca sulla dimensione estetica dei processi formativi, dove la concezione geometrica cartesiana fa spazio ad altre geometrie possibili. La forma si svela nella sua possibilità materica di deformazione, di innesto, di cambiamento. In questo ‘teatro’ che celebra la cultura della trasformazione e del processo creativo del vivere e del fabbricare, è possibile incontrare Jimmie, Maria Thereza, Alessandro, Elisa, Jone e Philipp, attraverso le loro opere, e avvertire il loro invito a FARE, a riprendersi lo spazio per lavorare sulle forme, mettersi in performance, in azione, stabilire nuove relazioni che possano nutrire materialmente il processo del crescere, trasformarsi, VIVERE.
VIVERE è SITUARSI in uno SPAZIO, NUTRIRSI DEL PAESAGGIO, DELLE FORME, e agire in quello spazio, trasformarlo nel proprio MONDO.
VIVERE implica un costante gesto che trasforma il mondo nel MIO MONDO (di vita). Vivere implica anche un gesto di CURA, il prendersi cura di Sé e del mondo, che richiede la fatica, la scelta, di una VITA ACTIVA.
Per questo, in questo laboratorio di IDEE CHE PRENDONO FORMA E DANNO VITA A MONDI DA ABITARE, io mi sento a casa: nella mia dimensione TRASFORMATIVA, nel mio process in cui decido di cosa NUTRIRMI, di quale PAESAGGIO essere parte, da quali forme farmi attraversare e chi INCONTRARE.
Ed ecco che qui, in Labinac, incontro poetiche esistenziali differenti, e materiali e forme differenti, che confondono l’ordine del naturale e dell’artificiale, che richiamano alla natura umana che è creatrice d’artifici, è Vita Activa. Ed ecco che in questa passeggiata incontro:
Jimmie Durham che mi ricorda di usare le MANI e dedicare tempo perché le cose possano prendere altra forma..
Maria Thereza Alves che mostra le sue stoffe colorate, leggere, che sa di potersi portare in viaggio per fare di ogni spazio anonimo la sua casa …
Elisa Strinna che ti fa guardare in profondità, come in un laboratorio scientifico, mostrandoti in superficie le meravigliose forme degli organismi viventi
Jone Kvie che dà forma ad oggetti perché oltre la loro funzione possano aiutare a riflettere e meditare
Alessandro Piromallo che crea nuovi materiali e ci suggerisce il gesto per piantare un albero giocando tra natura e artificio, in METAMORFOSI
Philipp Modersohn che ti svela la qualità dei materiali e la loro possibilità mimetica, di simulare e di mutare, di giocare tra leggerezza e robustezza
In questo piccolo grande teatro/fabbrica/bottega ogni incontro mi ricorda che ho mano, ho cervello, ho pensieri, ho desideri, ho corpo: ho forma ma essa stessa per sua natura di essere vivente sfugge ad ogni definitezza perché basta che il corpo che sono si muova, che prenda contatto con altre forme e con altri corpi, perché scopra di poter mutare e incorporare le forme altre e vivere l’infinita creazione/trasformazione che è la vita in stato dell’arte.
È come trovarsi nei chiari del bosco con Maria Zambrano, la filosofa che invita al momento dell’aurora, al risveglio. Un momento in cui tutto è ancora possibile. E le fa eco Luce Irigaray:
“adesso ricomincia, ancora non hai cominciato a vivere.
Ancora non abbiamo cominciato a viverci, ritorna di qua. Di ciò che hai innalzato, impara qual era la risorsa. E se vuoi salire ancora, ricordati della terra dalla quale prendi il volo. Perché se essa ti mancasse, nemmeno vedresti la tua altezza.
Più in giù di crosta solida ti tocca adesso ridiscendere per annunciare il senso della terra. Ricordati di ciò che avviene al di qua per assicurare la corsa del tuo al di là. E sapere che una superficie solida non è mai solo una superficie solida. Essa si adagia su vita sotterranea, sottomarina, fuochi e venti in tal modo coperti ma che, sotto quell’involucro, continuano a muoversi”
(Luce Irigaray, 1980, Amante marina di Friedrich Nietzsche, Roma, Luca Sossella, 2003)
Quell’eco risuona ancora, fuori e dentro le sale di Labinac, e mi fa salutare l’incontro con Maria Thereza come un felice disegno che muove verso altra materia, perché viva…
*’Materia Viva‘ è anche il nome del progetto ideato da Maria D’Ambrosio con Giovanni Petrone, promosso e realizzato dall’Associazione F2Lab e Casa del Contemporaneo da marzo 2021 in partenariato con il Comune di Marcianise, il Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale dell’Università Vanvitelli, il Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II, e il patrocinio del Comune di Napoli e della I Municipalità e dell’Unione Industriali di Napoli.