Prendersi cura dell’intorno e del territorio-opificio. Un inno al lavoro per un’archeologia del presente

Caro Giotto,

ecco che torno da te in agosto, a ridosso della notte di San Lorenzo, quando sembriamo tutti praticare l’astronomia e trovare gusto, semel in anno, nell’uscire “a riveder le stelle”! Come Dante che da più di 700 anni ci suggerisce quella direzione, in queste notti sembriamo tutti risuonare con gli ultimi versi dell’Inferno e di quella uscita necessaria, che al movimento sagittale unisce quello verticale e spinge ad alzare lo sguardo al cielo per farci osservatori notturni della pulsante materia stellare e dei suoi cadenti fenomeni spettacolari. Un movimento che sembra celebrare l’esplorazione, non solo astronomica, come ‘via’ per la conoscenza: una via che chiede di mettersi in cammino e in azione, in più direzioni e in osservazione permanente, e che ancora suona come inno al lavoro e alla sua dimensione operativa e trasformativa. Perché lavorare, operare, creare, è fare luce nel buio della notte, sentire pulsare la materia viva di cui siamo fatti, proprio come quelle luci remote e incandescenti che riconducono l’Uomo alla Natura e fanno coincidere il vivere al gesto che ci fa artefici di questo mondo e pure di quello che verrà. In questo senso, l’uscire a riveder le stelle può essere momento rituale dell’anno per con-siderarsi parte della Natura e de-siderare di mettersi all’opera collocandosi in quell’insieme e mobilitandosi con tutti i sensi e il ben dell’intelletto nell’impresa di una Vita Nòva.

poeta Fraterno

Ecco, dicevo Giotto, che ti scrivo con la voglia di condividere con te un inno al Lavoro come ode alla Natura Umana perchè proprio attraverso il Lavoro l’umanità esplora, conosce, sperimenta, Sé e il mondo più o meno esteso intorno a Sé. Così, nel pieno dell’estate e del clima da vacanza, lodare lo speciale legame tra lavoro e conoscenza sembra eccezionale come la ‘caduta’ di una stella, perché l’infinito spazio che s’apre quando varchiamo la soglia del già conosciuto è il punto dove le Scienze (esatte e finite?) incorporano la sacralità del gesto fatto ad Arte per trasgredire la natura delle cose, violarne l’integrità e penetrarne la complessità. Generare il nuovo, tra Arte e Scienze, costa fatica, costanza, impegno e ardore. Il valore dell’Arte riguarda l’essenza stessa del fare ricerca e del lavoro che accompagna ogni gesto quotidiano a farsi opera, segno, talvolta poesia, e contiene la spinta a uscire a ‘riveder le stelle’, a collegarsi ad un oltre, ad un intorno, del quale sentirsi parte.

fuochi al vesuvio

Ed eccomi a te, Giotto, in tempo di ferie d’agosto, mentre mi metto in viaggio per arrivare da te appena possibile, a festeggiare te e gli altri artisti che hanno fatto grande e luminoso il Trecento a Padova. Torno a scriverti in queste notti, quando torna a farsi diffuso e popolare il sentimento che ci lega alla materia stellare, per fare festa con te perché finalmente è arrivato il riconoscimento dell’Unesco ai tuoi affreschi nella Cappella degli Scrovegni a Padova insieme a quelli dei cicli pittorici di altri artisti tuoi contemporanei, presenti in altri edifici e complessi monumentali della città, come Patrimonio dell’Umanità! Si, faremo festa a quell’insieme, a quel tutto che è il Trecento a Padova in cui voi artisti avete dato forma e lustro anche al lavoro di chi, medici, filosofi, astronomi, contribuiva, insieme, a rendere produttiva e innovativa la città. E ti scrivo, Giotto, da Oplontis che dal 1997 compare nella lista Unesco come sito seriale delle aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata. Da Oplonti, tra le rovine delle antiche città e ville d’ozio del primo impero romano, mi aggiro anche nell’intorno del sito archeologico perché vago e vado esplorando i luoghi che dalla costa guardano lo scoglio di Rovigliano fino alle antiche terme romane per poi proseguire verso le falde del Vesuvio, lasciandomi accogliere dall’atelierquartino (così lo chiama) dell’amico artista Matteo Fraterno dove gli incontri con altri artisti e sperimentatori possono ardere come il fuoco che riaccende il magma della pietra lavica e profumare d’alloro, limone e di altre erbe che l’intorno selvatico ha regalato.

fuoco roberto dell'orco

ori di oplonti

Da qui lo sguardo si può aprire dal mare alla montagna e cogliere l’insieme di un territorio ricco non solo di bellezze naturali e architettoniche come quelle della Villa di Oplontis – e delle vicine rovine di Pompei ed Ercolano – ma anche di tante attività produttive e commerciali che dai tempi di Nerone e della Roma imperiale, e pure prima ancora, hanno generato valore nel territorio. Valore che brilla come gli Ori di Oplonti e la loro raffinata manifattura ma che emerge, meno lucente ma pure così carica di interesse, dalla cosiddetta Villa B di Oplonti e dal suo magazzino dove, mi fa osservare Claudio Rodolfo Salerno, studioso e appassionato dei luoghi, il ritrovamento dei resti di un deposito di melograni è da intendere anche come traccia di sofisticate tecniche utilizzate per conciare le pelli e per la tintura e il fissaggio dei tessuti, legate proprio alle proprietà della buccia del melograno già note allora e che da tempo sono parte del genius loci del vicino distretto conciario di Solofra. Ecco che i reperti archeologici di Oplonti e dintorni testimoniano di un territorio da considerare come opificio e la cui cultura tecnica e manufatturiera si estende e si collega alla sapienza rurale dei vicini siti agricoli come quello rinvenuto a Sant’Antonio Abate. Per approfondire questi temi è ampia la bibliografia, come ricche le due pubblicazioni di cui lo stesso Claudio Rodolfo Salerno mi fa dono (“Ager Pompeianus et Ager Stabianus” e “Caio Giulio Polibio. Storie di un cittadino pompeiano”). Ma non voglio parlarti delle questioni archeologiche, delle attività istituzionali e degli studi multidisciplinari dedicati e da dedicare a questi siti. Da queste antichità e rovine romane mi muovo ancora per tornare alla casa-atelier di Matteo Fraterno dove trovo il mio temporaneo osservatorio astronomico e provo ad operare un’altra archeologia del sapere attenta a questi luoghi di grande bellezza perchè ospitano da millenni tante civiltà e attività produttive. Se mi allontano di poco dal perimetro archeologico del Patrimonio Unesco e raggiungo la vicina zona costiera, ai confini tra Torre Annunziata e Castellammare di Stabia, nella zona nota come Rovigliano, lo sguardo spazia tra lo stupore per la bellezza del paesaggio tutt’intorno e l’indignazione per il degrado dell’area a ridosso del litorale. Opposti sentimenti vivo perché proprio a pochi metri da questo litorale che chiederebbe cura e ‘governo del territorio’, sono attive diverse aziende che operano soprattutto in campo nautico. La loro posizione è strategica. È il posto dove sfocia il fiume Sarno, nel bel mezzo del golfo di Napoli e di una riviera tutta nera per la pietra lavica di origine vesuviana. Sono luoghi questi, Giotto, riconosciuti d’interesse e valore universale proprio come Padova e i suoi cicli pittorici del Trecento. Luoghi dove è situato un sito archeologico Patrimonio dell’Umanità attorno al quale è cresciuta una città troppo spesso dimentica di se stessa, incapace di guardare e di prendersi cura di tutto ciò che costituisce l’intorno del suo sito-patrimonio. Ecco che l’inno al Lavoro suona perché ci si prenda cura del bene-patrimonio e anche del suo intorno, come di ciascuna stella e del cosmo intero. È un richiamo a mettersi all’opera secondo una visione d’insieme e una maggiore interazione anche tra Istituzioni e Imprese. Le attività produttive presenti in zona, quelle che hanno resistito a tante crisi e a tante delocalizzazioni e industrializzazioni mancate (come quella della produzione di pasta), insieme a tanta vulcanica creatività, sembrano tutte rivolte a se stesse e isolate tra loro, senza percepire il valore dell’intorno e la possibilità di uscire dal proprio perimetro e dal proprio strettissimo ambito per andare a rivedere le stelle attorno alle quali ci si muove e si sono costruite le proprie fortune.

rovigliano e spiaggia

bagnanti

spiaggia

Rivedere le stelle! Ecco allora, Giotto, che anche Padova e il riconoscimento alla pittura del suo Trecento diventa simbolo e suggestione per me perché anche in questo caso nella mappa dei siti Unesco entra un insieme e non una singola opera, come già successo per i siti archeologici di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata e agli altri cosiddetti ‘siti seriali’ della provincia di Padova già dentro quella mappa: un insieme, nel caso di Padova Urbs Picta, di opere riconducibili non solo alla tua singola ‘mano’ ma a quel gruppo di artisti, e quindi Guariento di Arpo, Giusto ‘de Menabuoi, Altichiero da Zevio, Jacopo Avanzi e Jacopo da Verona, che attraverso la loro produzione parlano di un contesto storico e culturale di particolare interesse, parlano cioè di quel Trecento a Padova ricco di committenze religiose e politiche, relative a spazi pubblici e privati, che nulla hanno del ‘buio’ Medioevo ma che splendono come gli astri che trovavano spazio nelle rappresentazioni e nella comunicazione visiva del tempo. Il riconoscimento alla pittura del Trecento a Padova è un segnale lucente che riporta all’attenzione pubblica quel particolare clima culturale nel quale le Arti e le Scienze si contaminavano reciprocamente, in una città che già dal 1222 aveva fondato la sua Università e investito in una grande progetto legato alla conoscenza, tra filosofia, astronomia, medicina e tanta letteratura. Il Trecento a Padova con i suoi cicli di affreschi è oggi patrimonio (dell’umanità) per chi ha fatto del maestro, e quindi della tua presenza incisiva, Giotto, quel punto di riferimento per innovare i canoni e per fare del linguaggio visivo uno straordinario veicolo di nuova conoscenza. Un clima culturale tra Arte e Scienze che ha prodotto opere esemplari che dicono di un territorio-opificio e di un altro contesto storico esemplare per quell’inno al lavoro che oggi con te vorrei far suonare perché, già a partire dall’Italia e dai suoi 57 siti Unesco variamente distribuiti nel suo territorio nazionale, si possa sentirsi variamente e sensibilmente chiamati a metter mano, tutti dentro un unico grande territorio-opificio, ad un’operazione di cura che necessita di tanti saperi e di tante maestranze e che farebbe di ogni territorio opificio e scuola, insieme.

UrbsPicta

È quello che ci si aspettava accadesse intorno a quei 57 siti Unesco ma che attende di realizzarsi ancora se solo si scruta in quei i siti seriali, da Pompei Ercolano e Torre Annunziata fino a Padova, un insieme che ha fatto dell’operosità tra Arte Scienze e Tecnologie e pure tra otium e commercium la cifra per splendere ancora. La via di un’intera ed estesa comunità territoriale per uscire a riveder le stelle!

maria elicriso

 

 

COMMENTI

Lucio Minervini (presidente Comitato ‘Sull’arte e la cultura per l’economia, promotore della richiesta di riconoscimento della Cultura Classica Greca e Latina Patrimonio Immateriale Bene dell’Umanità): “Ora ci spetta di inventare (dal latino ritrovare) nuovi modelli economici di sviluppo della cultura per poter mettere realmente a regime questo patrimonio e, finalmente, riuscire a riveder le stelle!”