Caro Giotto,
eccomi a scriverti stando dall’altra parte del mondo, dalla capitale del Paraguay, da Asuncion: col verde della selva tutt’intorno e il fiume che attraversa la città fino a disegnarne il profilo con la baia, le spiagge, i porti, i piccoli approdi. Una città e un paese dal passato coloniale, come tutta l’America latina, e pure con la sua storia di indipendenza. Ed è di indipendenza che ti voglio parlare, Giotto. Di una storia che ruota intorno a dei mattoni che sono anche il simbolo di una rivolta che ha trovato ospitalità in una casa fatta di mattoni: mattoni a costruire e custodire voglia di riscatto e di autonomia. E mattoni, come i mattoni della Porta d’oro di Gerusalemme che tu hai dipinto nell’affresco della Cappella degli Scrovegni per raccontare la storia di Anna e Gioacchino e del loro incontro. Una porta di mattoni che s’affonda nella terra e le cui torri aprono alla vista dall’alto fino al cielo. I mattoni e il loro ordine regolare che ci introduce all’arte del costruire dalla terra fino al cielo.
Proprio oggi, infatti, attraversando Asuncion sono arrivata ad una casa coloniale fatta di mattoni, legno di palma e il tetto di paglia. Dal 1961 questa casa è il Museo dell’Indipendenza perchè è la casa costruita nel 1772 da uno spagnolo e da sua moglie paraguaiana, successivamente trasformata dai figli dei proprietari nella sede delle riunioni clandestine indipendentiste. È la casa da cui il 14 maggio 1811 il capitano Pedro Juan Caballero, cugino dei proprietari e originario di Tobati, diede inizio alla caduta del governo spagnolo e al riconoscimento del Paraguay come nazione libera e indipendente. Non conosco molto della storia di questo paese e sto provando a comprenderne di più l’anima e la cultura.
La cosa curiosa, caro Giotto, è che prima di imbattermi in questa casa-Museo, qualche giorno fa ero a Tobati, nel bellissimo territorio del Cerro Arco, dove, esplorando la vicina Caacupe e poi addentrandomi nel paesaggio collinare di Tobati e dei suoi percorsi naturalistici fino all’arco naturale da cui si gode un panorama strepitoso sulla selva fitta e immensa, ho attraversato un vero e proprio ‘distretto del mattone’. A segnalare un’attività artigianale e manifatturiera tutt’ora in corso, la presenza di torri fumarie e di edifici tutti in terra e mattoni, a trasformare il verde del paesaggio naturale e il suo tracciato di terra battuta rossa e calda al sole del primo pomeriggio in un laboratorio a cielo aperto.
Addentrandomi verso il Cerro Arco, lungo la via principale ho attraversato un vero e proprio insediamento abitativo e produttivo. Attratta dagli edifici infocati mi sono fermata a esplorare le belle architetture per scoprire che si tratta di forni per la cottura di mattoni e di tegole. Accanto a ciascun forno qualcuno a governare la legna per il fuoco, altri ad impastare la terra e a forgiarla prima di essiccare e poi cuocere i manufatti. Mi fermo a parlare con qualcuno di loro e scopro che a Tobati, in quel villaggio, ciascuno è proprietario del proprio piccolo forno e dell’attività produttiva. Attività, abilità, maestrìa, che spesso si passano di padre in figlio e che mi fa riconoscere in questa comunità una certa felice operosità che fin’ora non avevo ancora scorto nei volti della gente incontrata lungo le strade della capitale. A Tobati, invece, gli uomini lavorano con la terra a produrre mattoni e tegole e le donne vendono piccoli oggetti di artigianato locale. Sono tutti accoglienti con i loro sorrisi larghi come le mani che afferrano sapienti gli arnesi da lavoro e ti salutano nel vederti andare via.
A Tobati il lavoro è faticoso ma è fatto con cura e tiene insieme la città con le zone rurali: un insieme che fa proprio delle zone rurali gli spazi di un possibile riscatto sociale perché è proprio la gente del territorio extraurbano ad essere produttiva, come lo è stato il capitano Pedro Juan Caballero che arrivava da Tobati e da Tobati ha portato in città, in quella casa che oggi è il simbolo del movimento per l’indipendenza paraguaiana, lo spirito intraprendente di un popolo consapevole di potersi riprendere la propria terra. Forse proprio perché a Tobati la terra la si lavora con la vanga e con le mani, per poi trasformarla in utili manufatti, capaci di trasformare l’ambiente così inospitale e selvaggio della foresta in spazi abitati e protetti dal troppo caldo e dal troppo umido, assemblando quei mattoni e quelle tegole e dando loro forma di casa. Senza saperlo, a Tobati ho conosciuto il contesto culturale che ha dato vita alla resistenza al dominio coloniale e fatto spazio alla forma di governo autonomo e al processo di democratizzazione ancora ‘in costruzione’. Ho conosciuto i compaesani del capitano Caballero, del più giovane dei militari che rispose alla chiamata della Revoluciòn de Mayo. Il maggio paraguaiano. Il maggio dell’indipendenza e della libertà la cui memoria ora è affidata a quella casa, a quei mattoni, a quel simbolo pubblico e istituzionale che celebra la storia di un popolo passato per la dominazione e poi per la conquista di una sua libertà.
Insomma, caro Giotto, credo che quella casa coloniale, oggi Museo Nazionale chiamato Casa de la Independencia, stia lì anche a memoria delle due anime del paese: l’anima coloniale spagnola, nella forma dell’edificio, negli arredi, nei simboli sacri; e l’anima indigena guarani, resistente, indipendente, nella struttura dei mattoni di terra cotta di cui è fatta e la cui fabbricazione si connette a Tobati. Le due anime del Paraguay che inizio a comprendere più nel profondo ora che ho conosciuto Tobati e il suo distretto produttivo specializzato nel mattone. Le due anime, quella coloniale e quella laboriosa e indipendente che stanno insieme come Tobati con Asuncion, così che ora a riguardare e visitare quella casa-Museo mi pare di sentire le mani che hanno lavorato la terra per poi fabbricare mattoni e costruire quella stessa casa, e mi ritorna l’immagine dei forni di Tobati e del fuoco acceso per cuocere quei mattoni: si, il fuoco, proprio quello che serve a trasformare la terra e farne materiale prezioso per le costruzioni, e il fuoco che a Tobati ha acceso il desiderio di libertà nel capitan Caballero e lo ha condotto alla testa del movimento indipendentista paraguaiano di cui in quella casa-Museo celebriamo la storia. Una storia, tutta paraguaiana ma che ci appartiene, una storia che voglio raccontare e condividere con te, Giotto, mentre passa aprile e si fa vicino Maggio, il Primo Maggio, la festa dei lavoratori che ha molto a che fare anche con la Revoluciòn de Mayo in Paraguay, con il loro 14 di Maggio, e pure con le storie di lavoro che guardano al futuro di cui sarà piena la nostra notte del #lavoronarrato.